I Sonetti di William Shakespeare

William Shakespeare scrisse probabilmente i suoi 154 sonetti dal 1595 al 1600. La numerazione con cui oggi conosciamo i suoi sonetti non è certa ed è sovente motivo di discussione.
Quasi tutti i 154 sonetti hanno lo stesso schema metrico, sono composti da 14 versi decasillabi disposti in tre quartine in rima alternata più un distico conclusivo in rima baciata (sonetto elisabettiano o all’inglese). Ci sono soltanto tre eccezioni: il sonetto 99 ha un verso in più, il sonetto 126 ha due versi in meno ed il 145 è composto da ottonari invece che da versi decasillabi.
I primi 126 sonetti sono dedicati ad un giovane di bella presenza (Fair Youth), gli altri 28 sono rivolti a una donna (Dark Lady), figura femminile oscura e contrapposta a quella del giovane. C’è poi un terzo personaggio (Rival Poet) a cui l’ autore si rivolge nei sonetti compresi tra il numero 78 e il numero 86. Il tema principale è l’amore, o sentimenti ed emozioni strettamente correlati ad esso, che ogni volta il Poeta declina in modo diverso, arricchendo la raccolta di immagini suggestive e versi romantici che sopravvivono con ineguagliabile forza ai secoli che passano.
I Sonetti sono stati pubblicati per la prima volta nel 1609, ma probabilmente circolavano già prima tra gli amici del drammaturgo, nonostante l’edizione specifichi che erano inediti. Si racconta che in quell’epoca chiunque poteva stampare anche senza l’esplicito consenso dell’autore, bastava iscriversi all’apposito registro. Nonostante nel 1609 Shakespeare fosse ancora in vita, è piuttosto improbabile che avesse dato il suo consenso alla pubblicazione. Difatti, l’ordine di successione dei sonetti è arbitrario e non lascia presumere una revisione dell’autore in vista della pubblicazione, inoltre le ultime due poesie risultano di improbabile attribuzione allo stesso Shakespeare.
L’edizione del 1609 riporta anche una dedica a un certo Mr. W. H., chi si potesse nascondere dietro a queste due iniziali non è dato sapere, e come è facile immaginare queste due semplici lettere hanno generato un gran numero di ipotesi al riguardo. In un primo tempo si è pensato che quel generico Mr. W.H., fosse riferibile ad un giovane attore della compagnia teatrale, forse il “Fair Youth” a cui sono dedicati i primi 126 sonetti, ma successivamente i candidati più probabili sono stati individuati nel conte di Southampton Henry Wriothesly e nel conte William Herbert di Pembroke: sono tuttavia ipotesi fragili, per il semplice fatto che sarebbe stato offensivo rivolgersi a uomini nobili usando l’appellativo di Mr. Da ultima, trova spazio anche un’ ipotesi autoreferenziale, ovvero che quelle iniziali fossero l’abbreviazione di William Himself.
La prima versione italiana del Canzoniere di Shakespeare è quella in prosa di Angelo Olivieri (1890), alla quale seguì poi una seconda traduzione, questa volta in versi, ad opera di Ettore Sanfelice (1898). Seguirono quindi le traduzioni di Lucifero Darchini (1908), Alberto Rossi (1952), Augusto Guidi (1962), Giorgio Melchiori (1964) Maria Antonietta Marelli (1986) e infine quella del poeta Roberto Piumini (1999). Oltre alle traduzioni integrali, diversi letterati, critici e poeti si sono cimentati con la traduzione di uno o più sonetti, quasi si trattasse di una prova speciale. La sfida l’hanno raccolta in tanti, tra i più illustri Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti.
Giuseppe Ungaretti ha lavorato su una forma metrica libera, che si esprime in un’alternanza di endecasillabi e doppi settenari. Le traduzioni compaiono per la prima volta nel volume “XXII sonetti di Shakespeare scelti e tradotti da Giuseppe Ungaretti”, edito nel 1944. A questa prima e parziale prova seguì, nel 1946, l’ edizione dell’opera “XL sonetti di Shakespeare” nella quale i 40 sonetti sono disposti in progressione secondo la numerazione romana. Numero e ordine sono rimasti invariati in tutte le edizioni e non si arrivò mai, nonostante le dichiarazioni di volontà e le tracce d’archivio, ad accrescerne il numero. Nell’edizione critica dei 40 sonetti si può leggere anche l’inedito sonetto LXIV, tradotto da Ungaretti ma non incluso nell’opera, così da arrivare a 41 sonetti tradotti.
Nel 1948, è la volta di Eugenio Montale, che pubblicò le sue traduzioni di Shakespeare (sonetti 22, 33 e 48) nel libro “Quaderno di traduzioni”. Montale nelle sue composizioni mantiene una struttura regolare basata sull’endecasillabo, che rispecchia il pentametro giambico shakespeariano, e pur non utilizzando sempre la rima, inserisce una certa quantità di assonanze, provando a salvare sia il senso che il ritmo della versione originale.
I Sonetti di William Shakespeare hanno avuto anche delle libere trasposizioni. Nel 1985 il regista inglese Derek Jarman realizza il film: “The Angelic Conversation”, in cui una donna recita 14 sonetti, raccontando una storia d’amore tra due uomini. Nel 2009 è Peter Brook, con la bellezza di 84 anni d’ età, a portare a teatro i sonetti con lo spettacolo: “Love Is My Sin”. Sonetti D’Amore, di Melania Giglio, è in scena dal 2015 al “Silvano Toti Globe Theatre”. Alcuni compositori russi misero in musica i sonetti shakespeariani, primo tra tutti il celebre Igor Stravinsky, lavorando sul sonetto 8. Merita infine una segnalazione la trasposizione musicale: “Sonetto. Un Travestimento Shakespeariano”, con le musiche di Andrea Liberovici, le traduzioni di Edoardo Sanguineti e le letture di Ottavia Fusco e di Vittorio Gassman (quest’ultimo solo per la lettura del sonetto 2).
Tornando al mistero della pubblicazione dei sonetti, ce n’è un altro, se possibile ancora piú intrigante. Prendendo spunto dagli studi della docente siracusana Elvira Siringo, pare sia possibile, attraverso la dedica dell’opera, scoprire un sonetto nascosto all’interno del canzoniere. Sarebbe la dedica a suggerire, attraverso le sue lettere e i suoi punti, un codice per comporre una corona poetica che unisce quattordici sonetti di argomento simile, da ciascuno dei quali viene estratto un verso, così da ottenere quattordici versi per comporre un ulteriore e misterioso sonetto.
In sostanza, secondo la studiosa, il sonetto nascosto doveva essere un messaggio della figlia maggiore per lo stesso Shakespeare che, dopo averlo decodificato, lascia Londra e ritorna a Stratford dalla famiglia.  Leggendo il libro il discorso fila e il sonetto 155 ha il suo senso, però a me piace più pensare che per il genio di Shakespeare l’elaborazione di sonetti fosse un semplice esercizio per l’Ispirazione. Come un ciclista che si allena sulla Cyclette per il “Giro d’Italia”, anche Shakespeare si è allenato con la composizione di sonetti, per creare i suoi meravigliosi “Giri di Parole”.

27 novembre 2017
Leone Antenone