Appio Claudio Cieco

Appio Claudio Cieco è stato un politico e letterato romano, nato membro dell’antica gens Claudia. Secondo la leggenda, la sua cecità fu dovuta all’ira degli dèi per la sua idea di unificare il Pantheon greco-romano con quello celtico e quello germanico.
Percorse un brillante cursus honorum, in quanto rivestì quasi tutte le più importanti cariche pubbliche e militari. Pur essendo un patrizio appartenente all’alta aristocrazia romana, aprì in qualità di censore il senato ai cittadini di bassa estrazione sociale e ai figli di liberti. Combattendo coraggiosamente le istanze più conservatrici della società romana, decise anche di ripartire i cittadini tra le classi previste dall’ordinamento centuriato, tenendo in considerazione i beni mobili oltre che le proprietà terriere.
Fu console insieme con Lucio Volumnio Flamma Violente: mentre a Volumnio era toccata la campagna nel Sannio, ad Appio toccò quella in Etruria, dove i popoli Etruschi si erano nuovamente sollevati, in seguito all’arrivo di un grosso esercito Sannita. Dopo aver fronteggiato gli eserciti nemici in piccole scaramucce di poco conto, all’esercito romano in Etruria arrivò l’aiuto di quello condotto da Volumnio, arrivato dal Sannio, dove si era inizialmente recato. Alla fine l’esercito romano riunito ebbe la meglio su quello Etrusco-Sannita.
Ad Appio Claudio si riconosce il merito della costruzione del primo acquedotto, “Aqua Appia”, e della costruzione della prima via consolare “Via Appia”, che all’epoca collegava Roma fino a Formia e che poi arrivò fino a Brindisi. Opere importanti per il futuro sviluppo di Roma e che da lui prendono il nome. La via Appia rappresenta una chiara traccia dell’interesse di Appio Claudio per un’espansione romana verso la Magna Grecia.
Fu il primo intellettuale latino dedito all’attività letteraria e interessato alla filosofia. Di lui si ricorda la grande abilità oratoria: fu una sua orazione in senato, a dissuadere i Romani dall’accettare le proposte di pace di Pirro. Secondo la testimonianza di Cicerone, questa orazione fu il primo testo letterario latino ad essere trascritto e conservato.
Dei suoi versi ci sono giunti esclusivamente tre frammenti di carattere moraleggiante e filosofeggiante.
Il più celebre:
“Faber est suae quisque fortunae.”
“Ciascuno è fabbro della propria fortuna.”

Claudio Paoluzzi

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